In punta di piedi nelle tradizioni africane

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Quando si torna da un viaggio di questo tipo, solitamente, la prima cosa che ci viene da fare è parlare e raccontare tutto quello che abbiamo vissuto, le cose che abbiamo visto, le emozioni che abbiamo provato, e spesso lo si fa senza neppure pensare troppo a cosa si stia dicendo. È solo dopo qualche giorno che cominciamo a rimettere in ordine le idee e i pensieri come fossero pezzi di un puzzle e a riflettere.

Uno degli aspetti più affascinanti e oscuri di questi popoli è il legame che esiste con le loro tradizioni, dove per “tradizione” non si intende solo l’insieme di usanze e costumi tipici di ogni paese, ma è qualcosa che va oltre, e risiede dietro tutto ciò che è facilmente visibile. Tradizione e consuetudine, sono la legge che regola i rapporti umani ed il legame che tiene uniti i membri di una stessa etnia; legame che, con il tempo, si è andato in molti casi rafforzando per far fronte ad influenze esterne, tra cui l’occupazione da parte dell’Occidente. Il capo del villaggio è l’anziano, il saggio, poiché incarna e protegge la tradizione che talvolta è al di sopra della stessa legge dello Stato. In società come queste, gerarchia sociale e rituali di vario tipo sono accettati senza riserva dalla popolazione. Questo è ciò che dà ad un comportamento il carattere di consuetudine, di cosa sentita come obbligatoria e la cui obbligatorietà va conservata e tramandata nel tempo.

L’escissione è forse, nelle tradizioni con cui siamo venuti in contatto, l’aspetto per noi più difficile da comprendere. Occorre perciò porsi qualche interrogativo che ci aiuti innanzitutto a capire per poi cercare eventuali percorsi di eradicazione del fenomeno. Abbiamo parlato con molte donne africane toccando vari aspetti della loro vita ma, quando si arrivava all’escissione, ci è stato premesso che: “per l’escissione è più complicato”. L’argomento va affrontato con delicatezza. Ci si pone come un ospite a casa di uno sconosciuto: si entra in punta di piedi, non ci si siede se non dopo esser stati invitati a farlo, ci si può guardare intorno ma non si tocca nulla. Poiché essa non è solo una pratica crudele e senza senso: è una consuetudine, è l’astratto che si fa concreto nella mente delle persone, radicata com’è nella cultura che la protegge e la giustifica.

Affrontare questo argomento vuol dire anche essere pronti a vedere le molte contraddizioni che vi girano intorno, e a capirle prima di giudicarle. La prima è molto evidente: in Guinea l’escissione è vietata per legge ormai da diversi anni, eppure il Paese resta, con più del 90% delle donne escisse, tra i primi nel mondo per tasso di diffusione del fenomeno. La seconda, meno evidente, trova la sua causa nella complicata rete di rapporti esistenti nella famiglia e più in generale nel villaggio. Sappiamo infatti che in Africa si dà molta importanza al giudizio e al volere degli anziani, e questo anche nel caso dell’escissione, in cui in particolare giocano un ruolo fondamentale le nonne. Perciò, può succedere che la figlia di una donna che si batte nella lotta all’escissione sia comunque sottoposta a tale pratica per volere altrui.

Alla luce di ciò pensiamo che sia necessario e indispensabile entrare in questa cultura, guardare le cose più da vicino, toccarle, e prescindere per un attimo dalle nostre convinzioni e dal nostro sapere per domandarci: che valore ha per loro?; cos’è che rende questa pratica tanto importante da essere conservata nonostante le conseguenze che comporta?; si è pienamente consapevoli di tali conseguenze?

Noi abbiamo provato a cercare delle risposte, e le abbiamo trovate con l’aiuto di Alphonsine Mara e Simone Camara, due delle dieci ragazze che sono state beneficiarie del supporto all’istruzione attraverso il progetto di GuineAction, e che oggi studiano all’università ed hanno fondato una loro associazione: “Les Amies de l’Avenir”. Nonostante sia una piccola associazione che sta nascendo adesso, le ragazze sono molto determinate ed hanno ben chiaro quali dovranno essere i loro obiettivi. Il loro sguardo è rivolto soprattutto alle bambine. Infatti, come ci spiega Simone, in molte città del Nord della Guinea, come Mandiana, Siguiri o Kouroussa, la situazione è molto difficile perché non viene data la giusta importanza all’istruzione, perciò le bambine spesso non vengono mandate a scuola perché si preferisce che restino a casa ad aiutare la mamma nelle faccende o nel lavoro del commercio. Attualmente Alphonsine, Simone e le altre sostengono loro stesse, e quindi senza alcun finanziamento esterno, gli studi di due bambine. Ma tra i loro obiettivi vi è anche la lotta all’escissione. “È un fatto culturale” – ci dice Alphonsine – “se una bambina che non ha fatto l’escissione vede una sua amica che l’ha fatta si domanderà perché lei no, e quando tornerà a casa chiederà alla madre di farla anche lei”. Le ragazze ci spiegano inoltre che uno dei problemi è l’ignoranza delle persone circa le conseguenze che questa pratica può comportare sulla salute della donna. Gli chiediamo allora cosa bisogna fare, concretamente, per la lotta all’escissione e loro ci rispondono che la cosa più importante è l’istruzione, soprattutto delle bambine, e la sensibilizzazione villaggio per villaggio, casa per casa.

“Les Amies De L’Avenir” è la prova evidente che si sta sviluppando, soprattutto tra i giovani, una coscienza nuova, il desiderio di un vero cambiamento, e uno spirito critico che gli permette di guardare al loro paese con occhi diversi e di soffermarsi ad analizzare tutti quei fattori, anche culturali, che prima venivano accettati in modo passivo.

L’Africa è cultura, è un mondo che si nasconde dietro l’evidenza. Sembra scontato dirlo, ma in Africa nulla è mai, semplicemente, come appare ai nostri occhi. C’è sempre una spiegazione dietro ogni cosa, per quanto assurda e incomprensibile ci possa sembrare, così come c’è una storia dietro ogni uomo e una tradizione dietro ogni popolo. E finché non saremo capaci di spogliarci delle nostre convinzioni, non per annullarle ma per impedire che offuschino il nostro giudizio, finché non saremo capaci di buttar giù quel velo che ci annebbia la vista, finché non tenteremo di andare oltre una comprensione approssimativa e superficiale, per noi volgere lo sguardo all’Africa sarà sempre come alzare gli occhi verso il sole: lo guarderemo senza mai riuscire a vederlo davvero, diventando col tempo incapaci di vedere anche tutto il resto.

Ilaria Antogiovanni

 

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