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Un investimento sul futuro

Da bambina sentivo spesso mio padre ripetere questa frase: “A chi ha fame non dare un pesce ma insegna a pescare”, a sottolineare che se si dà un pesce quella persona mangerà una volta sola ma se le insegniamo a pescare mangerà sempre e la si renderà autonoma…
Sono due anni che, con la mia famiglia, attraverso l’associazione Guineaction, sostengo allo studio un bambino, il piccolo Patrice, in Guinea…
Sabato 28 maggio, presso la Chiesa di S. Eramo, vengo invitata, dall’associazione, a partecipare ad un incontro dei sostenitori con don Pierre, che opera sul posto, don Alfredo, presidente dell’associazione e Annalisa Bertrand, che presenta il suo ultimo libro “Pozzo e cenere” scritto dopo aver fatto un viaggio in Guinea e dopo aver conosciuto don Pierre. Annalisa racconta del suo incontro con don Pierre chiamandolo “l’angelo nero” e di come porta lei e le sue amiche su un cumolo di calcinacci da cui si vede, per il momento, solo un muretto ma che è il suo sogno… Si perché, da ormai cinque anni, don Pierre e don Alfredo stanno lavorando per rendere reale un grande sogno: costruire una nuova scuola, perché bambini, ragazzi e giovani di Kissidougou possano studiare in una scuola a loro più vicina e in aule meno affollate di quelle che ci sono (50 alunni per aula in una scuola privata e 100 in una pubblica), perché, dicono, “La conoscenza è pane”. E qui scopro che, inconsapevolmente, sto partecipando ad un progetto più grande del solo sostenere Patrice allo studio, sto aiutando l’associazione ad “insegnare a pescare”.
Don Pierre, un uomo con un grande sorriso che coinvolge e che ti colpisce con la frase: “…il vostro niente è molto per noi… voi non siete sostenitori e soci ma membri di questa famiglia…” e non posso che essere d’accordo con lui perché, solo se mi sento parte integrante di questa famiglia posso condividere con loro quel sogno, posso farlo mio, perché voglio per i bambini della Guinea lo stesso che voglio per i miei figli: che la cultura e la conoscenza facciano parte di loro. E, don Alfredo, che ha negli occhi quell’entusiasmo che ti rapisce e che dice: “…non è che si tratta di fare la carità ma di dar loro un motivo per non andare via dalla loro terra. La storia la facciamo noi…”
Già la storia la faccio anche io, la storia sono io con le mie decisioni e le mie azioni, con il mio stare da una parte piuttosto che da un’altra…
Oggi, sulla mensola della sala di casa nostra, dove ci sono le foto dei membri della nostra famiglia, mio marito ed io, abbiamo messo la foto del piccolo, grande Patrice che, non è più solo il bambino che sosteniamo allo studio ma è, diventato per noi, il simbolo del sogno sognato, alcuni anni fa, da un giovane sacerdote della Guinea e che sta diventando realtà.

Elvira Tortora

La gioia di sostenere allo studio i ragazzi della Guinea

Era da un po’ di tempo che facevo attenzione alle pubblicità che passavano in TV e sui giornali a proposito di “sostegno ai bambini in difficoltà” e di “adozioni a distanza” ma c’era sempre qualcosa che non mi convinceva, soprattutto quando poi venivano alla luce truffe di versamenti eseguiti su conti privati, associazioni inesistenti o anche solo leggendo gli indirizzi delle sedi di queste associazioni, poste in lussuosi palazzi del centro di grandi città e che inviavano pubblicità su carta patinata…e mi domandavo: quante persone in difficoltà possono essere aiutate, invece di spendere soldi per degli affitti esagerati? Quanti bambini si potrebbero sfamare con tutti questi soldi? Ero amareggita, ma in cuor mio speravo ancora di trovare qualche associazione che mi convincesse a donare e a fare qualcosa di concreto per gli altri.

L’occasione è arrivata, per caso, nel 2011, parlando con un mio collega che mi ha raccontato l’operato di un’ associazione reale e operativa in Guinea-Conakry. La prima cosa che mi ha colpito sono state le brochure nelle quali veniva illustrato chiaramente, con tanto di cartina geografica e nome delle persone direttamente coinvolte nei vari progetti che l’associazione portava avanti. Sono stata allora ben contenta di aderire alle iniziative di Guineaction onlus! É stata immensa la gioia nel ricevere la prima foto della bambina che avevo deciso di sostenere nello studio alla scuola materna. Ho avuto, in seguito, uno scambio di lettere con la famiglia e disegni con lei ed infine, è stata una grande sorpresa quando, attraverso Don Pierre Mansare, 2 anni fa, mi sono arrivate delle tele coloratissime dipinte dal papà della piccola Jeannette, questo il nome della bimba da me sostenuta! Questo gesto mi ha commossa molto; non ero solo io a donare un po’ di denaro e qualcosa per la scuola e per i giochi ad una famiglia in difficoltà, ma qualcuno dall’altra parte mi ha inviato dei regali che conservo con cura e affetto, in segno di gratitudine e riconoscenza. Ho deciso di sostenere una bambina nello studio che oggi frequenta la scuola elementare,  perché ho sentito e sento il bisogno di fare qualcosa di vero e reale  per gli altri e mi riempie sempre il cuore di meraviglia, vedere le foto ed i reportage di Don Alfredo Micalusi e di chi, con lui, è sceso in Guinea e ha documentato i risultati ottenuti nei vari progetti, attraverso l’impegno di tutti, sia di noi sostenitori dall’Italia, ma soprattutto di chi opera fattivamente sul posto. Spero di avere presto altre foto e notizie di Jeannette, visto che ho saputo che a breve tornerà in Italia Don Pierre e… chissà che un giorno io non riesca ad incontrare dal vivo la mia “piccolina”!!!

Mafalda Bruno

Nulla è per caso

 

Partecipare per la prima volta ad un incontro promosso dall’Associazione GiuneAction Onlus, per me che seguo da sempre l’operato del suo presidente don Alfredo Micalusi, non è stato casuale. Ho accettato l’invito con la convinzione che tutto ciò che propone l’associazione è segno della provvidenza di Dio ed io ero desiderosa di vedere i progetti che sta portando avanti in Guinea.

L’incontro a cui ho partecipato si è tenuto sabato 07 Novembre 2015 a Itri presso l’Aula Consiliare e sono stati molto numerosi i soci, sostenitori e simpatizzanti che vi hanno preso parte. Già all’arrivo mi ha colpito l’atmosfera che si respirava, fatta innanzitutto di amicizia, di semplicità, di armonia e di convivialità. La mostra che si snodava nei corridoi mi aiutava ad entrare nel vivo dell’incontro: volti, paesaggi, tessuti, artigianato… tutto lasciava intravedere l’amore per la terra che si andava a raccontare e conoscere meglio.

La presenza di don Alfredo, con la sua cordialità e i modi affabili, mi ha messo subito a mio agio. Nella prima parte dell’intervento ha fatto una panoramica dell’Africa nel contesto mondiale; attraverso le sue parole e le immagini proiettate riuscivi ad essere lì, in quei luoghi. La passione traspariva dalle sue parole e permetteva di immergerti sia nei luoghi che nelle persone che hanno vissuto l’esperienza in Guinea.

Numerose le iniziative che l’Associazione svolge in Guinea dando priorità ad alcune attenzioni: innanzitutto l’Istruzione, infatti attraverso la collaborazione con diversi Istituti a Kankan e Kissidougou vengono sostenuti allo studio tantissimi bambini e ragazzi, grazie all’accordo di partenariato con l’associazione AVED, GuineAction ha dato avvio, anche, alla costruzione di un complesso scolastico.

Nell’ambito della Sanità è stata acquistata, già da qualche anno, una struttura già esistente che si vorrebbe adibire ad ambulatorio, per contrastare il più possibile, le malattie, ma soprattutto per educare ad una corretta igiene.

Vedere con quanta dedizione viene portata  avanti l’organizzazione di un’ associazione… quanta gente si impegna in questo progetto, ti spinge a metterti in gioco e a pensare:  “Ma perché, non posso tuffarmi pure io in questo cammino? Non posso, anche io, dare una mano per sostenere e trovare nuove forme di aiuto per portare avanti quello che è l’obiettivo prioritario che l’associazione si pone?” .

Nell’incontro è stato presentato anche il calendario 2016 dal titolo: “Oggi… fra terra e cielo” realizzato con frasi scritte dallo stesso don Alfredo e foto scattate nel suo ultimo viaggio in solitaria di luglio, quando si è recato in Guinea per incontrare nei diversi villaggi, i gruppi di famiglie che costituiscono AVED e fare il punto della situazione sui diversi progetti.  Le foto trasmettono tutta la bellezza dei luoghi ma soprattutto i volti, i sorrisi, gli sguardi dei bambini e ragazzi, i colori, le azioni, la gioia, la semplicità, insomma la vita.

Per portare a termine i progetti che l’associazione GuineAction ha iniziato c’è bisogno dell’aiuto e del sostegno di tutti. E allora cosa aspettiamo ad impegnarci ancora di più e sostenere questa bella associazione?

 

Fondi, 07 dicembre 2015

Maria Zibini

 

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Io posso, tu puoi!

Mentre si prepara il viaggio del prossimo Agosto 2016, con piacere riportiamo la preziosa testimonianza di Carla Adipietro che nell’Agosto 2013 ha insegnato italiano a giovani e adulti di Kissidougou e Kankan.

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Le esperienze, si sa, fanno sempre bene, lasciano qualcosa che fa crescere. Ma alcune esperienze lasciano più di altre e segnano a fondo, da restare sempre evidenti. Sono passate solo tre estati. Tre estati fa, io ero in viaggio con la compagnia di GuineAction in Guinea, cercando di dare sostegno, vicinanza, amicizia a popoli con una vita diversa dalla nostra. L’insegnamento è una mia passione, riuscire ad incontrare l’altro in uno scambio di conoscenze e così ho avuto il privilegio di insegnare l’italiano a gruppi di ragazzi e adulti della Guinea.

A Kissidougou il mio gruppo di allievi era misto di studenti universitari, medici, insegnanti e anche alcuni curiosi, mentre a Kankan si trattava soprattutto di studentesse liceali beneficiarie del sostegno dell’associazione ed uno studente di medicina. Subito ho notato la sete con cui venivano accolte e richieste le nozioni che trasmettevo usando un gessetto, una specie di lavagna ricavata da una lastra di compensato e uno straccio bagnato alla pioggia della grondaia usato per cancellare.

A Kankan facevamo lezione nel cortile sul retro inutilizzato di un bar, le ragazze portavano il gesso, lo offriva lo zio di una di loro e la lavagna la spostavo io a mano e la poggiavo tra una sedia e il muro. Cancellavo e riempivo di nuovo la lavagna di nuove parole, regole grammaticali, tutto accuratamente riportato su ciascuno dei venti, trenta quaderni. Non mi sono soffermata a banali paragoni, che pure verrebbero spontanei, col modo di accogliere insegnamenti in alcune delle nostre scolaresche, ma ho voluto guardare oltre per capire meglio chi mi stava di fronte. Notavo l’attenzione e la puntualità con cui il verbo che coniugavo non poteva essere pronunciato solo una volta da me, non bastava, doveva pronunciarlo anche Blocus e Gérard e soprattutto Émile. Dovevano ripetere, per essere sicuri di aver imparato bene. Madou e Odile dovevano venire a scriverlo e gli altri aspettavano il proprio turno, per essere sicuri di scriverlo bene. Dopo che tutti avevano capito l’uso di una preposizione, me ne avevano spiegato la traduzione e l’uso in francese, Émile ancora diceva di non aver capito e allora Soungoirée lo riprendeva e glielo spiegava lui: non voleva che rallentasse la lezione. Dovevamo infatti sbrigarci a finire la lezione prima del tramonto, perché non avevamo elettricità. Ognuno di loro era interessato non tanto a portare a casa un quaderno pieno di cose scritte, quanto ad imparare una lingua, conoscere una cultura, saperne di più.

Théo, il professore di matematica, non poteva lasciare le sue centinaia di alunni (le loro scolaresche nel pubblico sono di duecento elementi, mentre nel privato di un centinaio) per il recupero estivo e non ha potuto frequentare tutto il corso di due settimane, intense, mattina e pomeriggio, dalle 9:00 alle 12:00 e dalle 15:00 alle 18:00. Théo, come alcuni lavoratori di Aved (associazione locale partner di GuineAction), hanno dovuto chiedere ad altri gli appunti sull’uso degli articoli e degli aggettivi. I ragazzi in Guinea crescono con l’idea che qualsiasi attività si svolga, si impara qualcosa, si conosce qualcosa di nuovo. Il tempo speso ad assimilare conoscenze fa arricchire tanto da accorciare la vita, perché fa crescere prima.

Dopo una giornata di lezione assegnare un compito per casa non era proprio cosa facile. Pensavo agli allievi, al fatto che avrebbero dovuto prima raggiungere casa, poi magari aiutare la propria famiglia (alcuni svolgevano mansioni nei campi insieme ai propri genitori), poi aspettare le prime luci del mattino oppure utilizzare motori a gasolio per produrre elettricità per l’illuminazione necessaria per studiare di sera. Al mattino seguente dovevano procurare l’acqua per la famiglia e prepararsi per ripartire e tornare a lezione. Mi sentivo quasi crudele a chieder loro di impegnare del tempo extra per studiare. Ma lo feci, perché un insegnante deve avere il modo per capire se quello che cerca di trasmettere viene recepito. Lo stupore mi pervase quando, un giorno, Jean portò una lunga lettera, con qualche errore, che poi abbiamo corretto insieme, ma pregna di entusiasmo e riconoscenza. Con lui anche altri manifestavano gratitudine non solo per il corso, ma anche per le correzioni dei temi svolti a casa; ci fu quasi una gara, giorno dopo giorno, a suon di lettere.

L’ultima lezione a Kissidougou fu proprio la lettura di una mia lettera rivolta a loro, scritta con un linguaggio che ormai potevano comprendere.

Auguro a tutti di vivere un’emozione come la mia di quel giorno, in una stanzetta di mattoni senza infissi alle finestre, con una lavagna di compensato, un gesso comprato da noi, un brandello di t-shirt bagnato di pioggia, tante menti pensanti, occhi aperti e cuori riconoscenti.

Lo scambio culturale riserva facilmente delle sorprese, come quando Marie Madeleine scrisse in una sua lettera che sognava che le donne del suo paese non dovessero più sposarsi. Quando le chiesi spiegazioni, pensando al matrimonio come a qualcosa che invece io sognavo per me e per le donne come me, mi rispose che le donne da lei si sposavano per necessità, non per vocazione. Senza istruzione né professione infatti, prima o poi si diventa un peso per la famiglia e si spera di essere accolti da un uomo, non importa bene chi.

Anche l’ultima lezione a Kankan fu stupefacente. Le ragazze mi chiesero di passare a salutare le loro famiglie prima del corso. Mi prese una di loro e mi portò in motorino in giro per la città di casa in casa. A dir poco emozionante fu vederle cantare in coro da motorini diversi: “Sono un ragazzo fortunato, perché m’hanno regalato un sogno, sono fortunato perché non c’è niente che ho bisogno” che avevano imparato il giorno prima. A casa ci aspettavano madri emozionate dalla gratitudine e padri orgogliosi che chiedevano di scattare una foto ricordo. A casa di Christine erano già in posa mentre lei ancora trasportava la carriola con bidoni d’acqua appena presa dal pozzo più vicino.

Fu proprio Christine, la più brava di quel corso, a suscitarmi delle strane e sottili emozioni mentre coniugava alla lavagna il presente indicativo del verbo potere. Mentre Roberto le scattava una foto, io pensavo a quanto sarebbe stato importante quel momento, a quanto è significativo ed importante coniugare davanti a tutti, su una lavagna di compensato, in un cortile alberato, il presente indicativo del verbo potere.

Perché se ci aiutiamo, tutti possiamo “sfruttare” le doti che abbiamo. Io posso dedicare il mio tempo e le mie capacità a te che puoi apprendere anche grazie a me, e qualcuno, anche da un altro continente può aiutarti a studiare affinché tutti possiamo crescere in maniera più equa. Affinché tutti possiamo conoscerci e abitare questo mondo da fratelli, quali siamo.

Carla Adipietro

Una testimonianza su Ebola a Guéckédou. Abbé Matthieu Kamano

 

Riportiamo di seguito la lettera che ci è giunta in questi giorni da Guéckédou. Abbé Matthieu (sopra nella foto) è il parroco della città. Don Alfredo a Luglio 20154 gli ha chiesto di scrivere per noi una testimonianza su quanto vissuto nell’ultimo anno dalla sua gente.

 

Guéckédou un anno con Ebola… e poi?

Durante la sua visita a Guéckédou nel luglio 2015, don Alfredo mi ha chiesto una testimonianza sul periodo in cui la febbre emorragica Ebola ha colpito il paese e in particolare la mia gente, al sud della Guinea. Ecco in poche righe quanto sento di poter dire in merito ciò che abbiamo vissuto.

Già da prima dell’annuncio ufficiale della comparsa del focolaio di Ebola in Guinea da parte del Ministero della Salute Pubblica, in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Medici Senza Frontiere, ecc., erano numerosi i casi di contagio nella prefettura di Guéckédou.

La nostra è una città di confine tra la Liberia e Sierra Leone, nella regione della grande foresta e alcuni affermano che la malattia sia venuta da oltre il fiume che segna il confine, ma è difficile affermarlo con certezza.

La reazione della gente alla notizia dell’epidemia è stata la stessa che in tutte le altre province e paesi contagiati: anzitutto la paura, tanta paura! Ad aggravare le cose erano le notizie contraddittorie che circolavano tra gli operatori sanitari. La cosa peggiore è stata la disinformazione o, peggio, la cattiva informazione da parte delle autorità e dei media. Tutto questo ha generato reazioni purtroppo anche violente e irrazionali.

Ci dicevano che per questa malattia non c’era alcun vaccino o trattamento sanitario efficace. Potete immaginare la psicosi collettiva che ne conseguì! Le opinioni più diverse e strane della gente si diffondevano. Per alcuni Ebola era addirittura “un nuovo progetto ideato qualcuno per creare l’emergenza e guadagnare a spese della gente”. Qualcuno dubitava perfino di Medici Senza Frontiere, perché erano loro ad organizzare il centro di emergenza, e da quel centro si usciva solo morti. La disinformazione e la psicosi hanno favorito la rapida progressione di questa terribile malattia del tutto sconosciuta alla gente.

Occorre considerare che la città di Guéckédou con la sua gente fu già vittima di altri drammi e atrocità: le incursioni dei ribelli nel 2000, epidemie di colera, la malaria, l’AIDS… ed ora ci mancava solo la febbre emorragica del virus Ebola emersa improvvisamente in questa prefettura tanto martoriata! La coscienza del popolo era davvero scossa!

Al di là di queste difficoltà, occorre però anche evidenziare il coraggio di tanti nella lotta per l’eradicazione dell’epidemia. In pochissimo tempo, arrivarono molte istituzioni internazionali come l’OMS, MSF, l’UNICEF, PAM, CICR e le istituzioni nazionali. Dobbiamo riconoscere gli sforzi enormi degli operatori sanitari (molti medici e infermieri hanno pagato con la vita la loro dedizione ai malati!) ma anche dei leader religiosi, dei saggi, dei giovani e di tanta gente comune. Molto hanno fatto per aumentare la consapevolezza e l’informazione nella popolazione. L’opera coraggiosa di tanti ha davvero aiutato a fermare la catena di contagio nella nostra prefettura che era l’epicentro della malattia.

Dio sia lodato e a tutti dico il mio grazie.

Ebola è finita, lasciando dietro di sé una scia di morte, di vite umane stroncate dal morbo e di famiglie ferite negli affetti. La gente si sente in un vicolo cieco e la situazione resta molto precaria e drammatica; tutti si attendono disposizioni utili a far ripartire l’economia e migliorare le condizioni di vita della popolazione a tutti i livelli perché quello che è accaduto non si ripeta. Ma dagli episodi tragici del 2000 fino ad oggi, nulla è stato fatto dalle autorità nella direzione della ricostruzione, tutto quello che si è fatto è opera della gente. Temiamo che un altro focolaio di chissà quale malattia possa colpirci da un momento all’altro senza le adeguate disposizioni da parte delle Istituzioni Nazionali e Internazionali. Ci sentiamo esposti perché nulla si fa per migliorare le condizioni sanitarie.

Nella coscienza collettiva poi c’è un pensiero ricorrente che deriva da una costante: ovunque ci sono ribellioni, lì insorgono epidemie! La prefettura di Guéckedou in Guinea è stato teatro di guerra nel 2000, quando l’attacco dei ribelli è venuto da Liberia e dalla Sierra Leone e da allora ogni tanto spunta fuori una epidemia che colpisce duramente la popolazione. Ci chiediamo, e rimane una domanda: è solo una coincidenza?

Noi lanciamo un grido d’allarme a tutta la comunità internazionale e alle loro istituzioni per attirare la loro attenzione al post Ebola a Guéckédou. Cosa rimarrà, per la città che è stata l’epicentro della malattia, in termini di infrastrutture, di miglioramento delle condizioni sanitarie e di vita delle famiglie? La questione è di vitale importanza per noi.

A tutti voi, amici di GuineAction onlus e a te don Alfredo un sincero ringraziamento per l’opportunità che mi date di esprimere il mio pensiero e le preoccupazioni per la mia gente.

Il mio più sincero augurio di buon Natale felice anno nuovo. Dio sia benedetto. Amen!

Guéckédou, 14 dicembre 2015

Père Matthieu KAMANO

Curé de la paroisse st. Philippe de Houidou/Guéckédou

LDiocèse de Kankan/R. Guinée-Conakry

Le foto che seguono sono state fatte da don Alfredo a Luglio 2015:

La bellissima città di Guéckédou

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L’ospedale della città con il pronto soccorso

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Cartelli che avvisano la gente sulla realtà di Ebola e sulla sua pericolosità

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L’opera di don Pierre e dei volontari per distribuire l’amuchina e gli altri presidi sanitari inviati dall’Italia

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Don Alfredo in uno dei presidi di controllo gestito dalle autorità sanitarie locali e due sorelle orfane di padre, uno dei medici che ha pagato con la vita la fedeltà al proprio lavoro.

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Un bimbo orfano di padre e di madre a causa della malattia.

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Memorie di un viaggio di sola andata

A due anni dall’ultimo viaggio, pubblichiamo un bellissimo testo di Ilaria. Esprime in modo straordinario quanto i giorni vissuti in Guinea lascino un marchio indelebile nell’anima…

 

 

“Collega il cuore alla mano e scrivi” mi è stato detto. Ed è quello che sto facendo. Scrivo senza fermarmi, senza timore o imbarazzo. Scrivo per le persone ancora capaci di guardare e, anzi, immaginare, quelle che chiudendo gli occhi possono viaggiare, quelle che dietro quattro semplici parole sono capaci di vedere un mondo, quel mondo.

A due anni da quel viaggio meraviglioso e sconvolgente, mi ritrovo qui, nostalgica, nella mia bella casa, nella nostra “splendida Italia”. Le montagne imponenti che circondano il paese, gli alberi, il mare, il silenzio… tutto questo oggi non mi basta!

Chiudo gli occhi e provo ad allontanarmi con la mente, provo a staccarmi da tutto questo.

Provo a trasportare la mia mente laggiù, in quel mondo così chiaro eppure così misterioso; dove il bene e il male camminano fianco a fianco; dove la povertà e la corruzione bevono birra seduti insieme al tavolino del bar; dove vivono le donne più belle e più sfruttate del mondo; dove i bambini lavorano ma non sono mai stanchi, e corrono, giocano, ridono.

A due anni da quel viaggio provo ancora, per l’ennesima volta, a scrivere qualcosa che possa rappresentare quell’esperienza, provo a mettere insieme le parole per esprimere e per trasmettere agli altri le emozioni che ho provato nel mio mese di vita li. Ma non è semplice, anzi mi rendo conto che forse è impossibile esprimere emozioni così grandi con delle semplici parole.

Ogni tanto accendo il computer per guardare le migliaia di foto scattate in quei giorni, immagini di sguardi, di sorrisi. Ed ogni foto è un ricordo: alcune sono buffe e mi fanno ridere, altre invece racchiudono una realtà che torna a farmi riflettere. Ogni foto è un sorriso, seguito da una lacrima di nostalgia.

La verità è che l’Africa non la dimentichi mai!

Il mal d’Africa non è una sola cosa, non è un istante o un ricordo preciso. È tutto l’insieme delle cose belle e brutte che quel posto può donarti. È il rumore della pioggia sui tetti di lamiera; è il sorriso dei bambini quando ti corrono incontro e sprigionano una voglia di vivere che ti assale e quasi ti atterra; è la sagoma di una donna che porta il suo bimbo dietro la schiena e un secchio pieno d’acqua in testa; è l’anziano che racconta storie davanti a un gruppo di bambini, e canta, e sorride; è ascoltare storie di riti magici e di stregoneria, rimanere a bocca aperta e scoprire che improvvisamente la nostra mente è libera da ogni tipo di razionalità e da ogni scienza, ed il “vedere per credere” resta solo una frase fatta.

Il MIO mal d’Africa è anche il ricordo degli occhi di una bambina malata, che scappa da me perché ha paura, ma che poi mi guarda e senza parlare mi chiede aiuto. E io quegli occhi ce li ho impressi nella mente, un’immagine indelebile come una fotografia. Quanta forza e quanta voglia di vivere in un solo sguardo.

E finalmente quel giorno potei vedere davvero quanta sofferenza era racchiusa dietro ai volti di quelle persone sempre sorridenti, che non si fermano mai, che non si piegano mai, che non mollano, che lottano ogni giorno; che suonano, ballano e cantano, vestiti con stoffe colorate come l’arcobaleno. Il MIO mal d’Africa è aver contribuito a salvare la vita di quella bambina, comprando due semplici medicine che la sua famiglia non poteva permettersi, e averla vista sorridente pochi giorni dopo.

Non è presunzione, sappiamo tutti che nessuno è capace di cambiare il mondo, ma è la gioia di sapere che, forse, sono riuscita a cambiare il futuro di quella piccola bambina.

L’Africa ti offre emozioni che il nostro occidente frenetico e grigio non può darci: la paura di non farcela, la stanchezza fisica e mentale, il timore di non essere all’altezza per un posto così, e lo stupore di riscoprirsi infine più forti di quello che si crede di essere.

Non è facile poi guardare a un mondo (il nostro occidente) dove le persone non sanno più amarsi davvero, dove finzione e realtà si sono mescolati fino a diventare un’unica, indescrivibile nuvola di smog che ci segue ogni giorno; un mondo dove i ragazzi preferiscono stare in casa davanti i video game piuttosto che uscire in strada a giocare; un mondo di gente indifferente che non legge più, che non guarda più, che non ascolta più. Generazioni di ragazzi svogliati, che non sanno più ascoltare storie, che non sanno immaginare, che hanno un muro davanti e non riescono a guardare al di la di esso. Come possiamo spiegare a questi ragazzi, che guardano fuori dalla finestra sbadigliano perché non vedono l’ora di andare a cazzeggiare, che il “continente nero” in realtà è un mondo pieno di meraviglie indescrivibili che le immagini trovate su google non possono minimamente trasmettere.

Penso che tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero lasciare tutto e scendere laggiù in Africa.

Per fare cosa??

Per cambiare se stessi, e riscoprirsi maledettamente vivi!!

ILARIA

Grande partecipazione al corso sul volontariato

Il 5 Marzo si è svolto il primo incontro di un percorso formativo , organizzato dall’associazione Guineacion, dedicato ai ragazzi delle scuole superiori che vogliono conoscere il mondo del volontariato, misurandosi anche con esperienze concrete.

Durante il primo incontro, avuto con Don Francesco Fiorillo, abbiamo trattato dell’aspetto motivazionale, quindi ciò che spinge i ragazzi ad avvicinarsi al mondo del volontariato e a voler fare qualcosa per essere gratificati semplicemente con un sorriso.

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Nel secondo incontro abbiamo fatto la conoscenza di Felix Adado che ci ha raccontato la sua storia: come è arrivato in Italia, quello che ha dovuto “subire” per ottenere il permesso di soggiorno e sentirsi integrato nella società, che spesso si lascia ingannare da superflue apparenze e giudica da queste ultime le persone.

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Durante il terzo incontro abbiamo potuto misurarci direttamente con il lavoro dei volontari facendo la diretta conoscenza delle varie associazioni che operano sul territorio.

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Il quarto incontro è stato piuttosto speciale perché abbiamo conosciuto i bambini del Centro Laila e i responsabili Angelo e Giselle Luciano.  Questi ultimi ci hanno raccontato la storia della casa famiglia e tutti i problemi che hanno dovuto affrontare negli anni.

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L’ultimo incontro è stato con suor Rita Giarretta, impegnata in “Casa Rut”, un programma che cerca di restituire dignità alle donne affinchè siano libere da ogni forma di schiavitù.

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Il corso è stato molto interessante e ha registrato un elevato numero di presenze. Questi incontri hanno dato a tutti coloro che vogliono avvicinarsi al mondo del volontariato degli spunti per riflettere e degli stimoli per esperienze successive.

 

Gli studenti della seconda B liceo Classico “Vitruvio Pollione” di Formia

 

Il sole dentro. Film tratto da una storia vera.

La storia fa capire molto bene il motivo del nostro impegno per l’istruzione in Guinea. 

Guinea, il grido dell’Africa: aiutateci!

Il 28 luglio 1999 Yaguine Koïta, 15 anni, e Fodé Tounkara, 14 anni, hanno viaggiato da Conakry, la capitale della Guinea, a Bruxelles, nascosti nel vano del carrello di atterraggio di un Airbus A 330-300 della compagnia belga Sabena. Vestiti con diverse paia di pantaloni infilati l’uno sull’altro, maglioni, giacche e cappelli, ma con dei semplici sandali ai piedi, sono scivolati sotto l’ala, nel piccolo vano delle ruote. Il viaggio si è concluso tragicamente: Yaguine e Fodé sono morti. Di freddo, sicuramente: all’altitudine di crociera di un aereo, la temperatura oscilla tra i -50 e i -55 gradi. O forse di anossia, e cioè a causa del calo di ossigeno distribuito dal sangue nei tessuti, provocato dall’assenza di pressurizzazione in questa parte dell’apparecchio. I corpi sono stati ritrovati all’aeroporto di Bruxelles solo qualche giorno dopo. Oggi di loro resta solo una lettera, custodita nella tasca di uno dei due ragazzi, indirizzata alle “loro eccellenze i signori membri e responsabili dell’Europa”.

Il testo della lettera scritta da Yaguine e Fodé.

Loro eccellenze i signori membri e responsabili dell’Europa. Abbiamo l’onorevole piacere e la grande fiducia di scrivervi questa lettera per parlarvi dello scopo del nostro viaggio e della sofferenza di noi bambini e giovani dell’Africa. Ma prima di tutto, vi presentiamo i nostri saluti più squisiti, adorabili e rispettosi. A tale fine, siate il nostro sostegno e il nostro aiuto, siatelo per noi in Africa, voi ai quali bisogna chiedere soccorso: ve ne supplichiamo per l’amore del vostro bel continente, per il vostro sentimento verso i vostri popoli, le vostre famiglie e soprattutto per l’amore per i vostri figli che voi amate come la vita. Inoltre per l’amore e la timidezza del nostro creatore “Dio” onnipotente che vi ha dato tutte le buone esperienze, la ricchezza e il potere per costruire e organizzare bene il vostro continente e farlo diventare il più bello e ammirevole tra gli altri. Signori membri e responsabili dell’Europa, è alla vostra solidarietà e alla vostra gentilezza che noi gridiamo aiuto in Africa. Aiutateci, soffriamo enormemente in Africa, aiutateci, abbiamo dei problemi e i bambini non hanno diritti. Al livello dei problemi, abbiamo: la guerra, la malattia, il cibo, eccetera. Quanto ai diritti dei bambini, in Africa, e soprattutto in Guinea, abbiamo molte scuole ma una grande mancanza di istruzione e d’insegnamento, salvo nelle scuole private dove si può avere una buona istruzione e un buon insegnamento, ma ci vogliono molti soldi, e i nostri genitori sono poveri, in media ci danno da mangiare. E poi non abbiamo scuole di sport come il calcio, il basket, il tennis, eccetera. Dunque in questo caso noi africani, e soprattutto noi bambini e giovani africani, vi chiediamo di fare una grande organizzazione utile per l’Africa perché progredisca. Dunque se vedete che ci sacrifichiamo e rischiamo la vita, è perché soffriamo troppo in Africa e abbiamo bisogno di voi per lottare contro la povertà e mettere fine alla guerra in Africa. Ciò nonostante noi vogliamo studiare, e noi vi chiediamo di aiutarci a studiare per essere come voi in Africa. Infine: vi supplichiamo di scusarci moltissimo di avere osato scrivervi questa lettera in quanto voi siete degli adulti a cui noi dobbiamo molto rispetto. E non dimenticate che è con voi che noi dobbiamo lamentare la debolezza della nostra forza in Africa. Scritto da due bambini guineani. Yaguine Koïta e Fodé Tounkara.

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